Marcello Chiaraluce Band

LA STORIA DELLA MARCELLO CHIARALUCE BAND

Correva l’anno 2005, un periodo strano per me: uscivo da una mezza depressione che mi aveva relegato in casa a fare il casalingo, avevo mollato l’Università, stavo per lasciarmi con Claudia, la mia fidanzata storica dell’epoca, iniziavo a lavoricchiare qualche ora a scuola, la mia band di allora, gli Interra Straniera, stavano per chiudere bottega con il loro ultimo colpo di coda Sono in svendita e una nota band alessandrina mi aveva chiamato a suonare con loro.

Beggars

I Beggar’s Farm a Falconara nel 2005
io, Mick Abrahams, Franco Taulino, Clive Bunker, Andrea Garavelli

Erano i Beggar’s Farm, tribute band ufficiale ai Jethro Tull, che in quel periodo avevano iniziato una proficua collaborazione con Mick Abrahams, il chitarrista fondatore della nota band britannica.
La figura di Mick fu fondamentale per me: ogni sera dopo il mio set, lo ammiravo cantare e suonare da paura i suoi blues con un carisma pazzesco e una padronanza della scena incredibile, senza muoversi di un passo dalla sua postazione vicino al microfono.
Nel frattempo, si avvicinava il 2006 quando tornai single, gli Interra Straniera si sciolsero definitivamente e feci il servizio civile per non aver dato abbastanza esami.
Nonostante avessi la sensazione di vivere nel vuoto cosmico, militavo in diversi progetti sia di cover, che di brani originali: gli Area Protetta, i Just for fun, i Blu Banana, i 2Life, i Però ecc.
Scrivevo anche brani di liscio e cercavo ostinatamente di venderli alle orchestre presentandomi nelle balere con una valigetta contente i cd delle demo.
Partecipai anche insieme a Massimo Coppo e Elvin Betti alla prima edizione del Novara Jazz Festival vincendo una coppa con dei pezzi strumentali in stile fusion scritti da me. I brani in questione piacevano molto anche alla redazione di Axe, nota rivista musicale dedicata alla chitarra, ma lo strumentale per è sempre stato un limite.
Finito il servizio civile le avevo provate tutte, ma per un motivo o per l’altro le band o bisticciavano o facevano cover. Ero stanco di dipendere sempre dagli umori di qualcuno, non sapendo che dipendere dai miei fosse ancora peggio, ma pian piano cresceva sempre più in me l’idea di mettermi in proprio.
La figura di Mick aleggiava sempre nei miei pensieri e il caso volle che Franco Taulino, leader dei Beggar’s, mandò me a seguire un lavoro in studio per il mix del loro album Itullians.
Andai così al Sinergy studio di Beppe Crovella, trovandomi a lavorare con una delle persone più influenti della mia vita: Claudio Cattero.
Lo studio aveva un bellissimo parco strumenti e l’ingegnere del suono, Claudio appunto, aveva una padronanza e una competenza che mi affascinarono. Non era il solito tizio che “te la spiega lui”, lavorava in maniera funzionale ma anche fantasiosa. Mi innamorai di quel mondo.
Per l’occasione avevo portato anche un paio di demo a Beppe Crovella, per la sua etichetta Electromantic, che insieme ad Enrico Rubinelli, ex Interra Straniera, avevamo scritto pensando di farle cantare a Mick Abrahams.
Tra quei brani c’era anche Guitar Hero che invece avevo scritto da solo.
Beppe fu molto gentile e dimostrò interesse, così galvanizzato arrivai a casa e cominciai a scrivere brani a profusione, senza contare che avevo un socio, Enrico, il quale si scocciò presto di questa mia diarrea compositiva che non lo stava coinvolgendo.

2Life

i 2Life nel 2007
Enrico Rubinelli, io, Daniele “Jack” Boccardi e Andrea Varvelli

Così il nostro sodalizio ebbe una battuta d’arresto ma solo per quel progetto, continuammo a suonare insieme nei 2Life, i quali avevano delle gran belle canzoni pop/rock.
Mentre andavo su e giù dallo studio, parlavo con Claudio della possibilità di fare un disco mio e lui fu molto propositivo in merito.
Così mi trovai presto con una decina di canzoni pronte e tanta voglia di registrarle. Solo che non avevo più una band e manco i soldi.
Provate voi a chiedere i soldi in famiglia quando fai mezzi lavoretti qua e là, suoni in giro per quattro soldi, hai mollato l’Università e vivi da single uscendo tutte le sere, tornando alle 3.00 quando andava bene.
Esistono i nonni, che spesso soprassiedono a tutti questi dettagli.
Così un po’ ne misi io, un po’ loro e iniziarono i lavori.
Avevo bisogno una band così contattai i miei compagni dei Beggar’s Farm di allora: Andrea Garavelli al basso, Aldo Carpanelli alle tastiere e Sergio Ponti alla batteria.
Purtroppo, Sergio era impegnato in un tour all’estero per quel periodo e così, molto umilmente mi presentai alla corte di Ivano Maggi, una delle eccellenze della nostra città.
Ricordo che il primo pezzo della demo era Sweet Teacher, un brano AOR in pieno stile rock anni ’80, ed essendo lui un jazzista avevo paura rifiutasse.
Così gli dissi: “inizia a sentire dal secondo, poi le altre le senti con calma…”
Lui mi guardò stranito e rispose: “Se devo suonarle devo sentirle tutte no?”.
Lapidario ma onesto. Quando partì il pezzo rimase impassibile, io ero preoccupato.
Dopo poco mi disse: “Questa la vuoi così?” e cominciò a pestare a charlestone aperto con una botta rock bella decisa.
Ho capito che era il mio uomo.
Sempre ascoltando le canzoni disse un’altra perla memorabile: “Però qui ci vanno meno piatti, se no sembra la sagra della Sabian”. Un mito.
Le sessioni iniziarono verso maggio 2007 con una sezione ritmica spaventosa che fece tutto in un giorno.
Con la guida di Claudio imparai moltissimo, sperimentando con ampli, microfoni, chitarre… fu una produzione stupenda. Ricordo anche che il quel periodo in Alessandria c’era Papasound, un negozio di chitarre, il cui proprietario aveva personalmente dei pezzi vintage meravigliosi.
Siccome ero in confidenza, mi feci prestare una Fender Stratocaster bianca pre-CBS, una Gibson Goldtop Deluxe del ’70 e una Martin D28 per l’occasione, poiché all’epoca possedevo solo Ibanez, poco adatte al tipo di sound che cercavamo.
Tenni quelle chitarre come reliquie, conscio del valore che avessero, portandole con me ogni giorno avanti e indietro per non lasciarle nello studio.
Quando le riconsegnai mi disse che avevo cambiato le meccaniche senza dirglielo e che si vedevano i nuovi buchi delle viti. In quell’occasione capii una cosa, non fatevi mai prestare nulla da nessuno, perdete solo un amico e voi non guadagnate nulla.
Pensare che non cambiai manco le corde per non fare cazzate, eppure.

Trio Archi

Foto per il booklet di On a Winter walk
Erika Pigazzi, io, Luisa Avidano e in basso Daniela Caschetto

Le sessioni terminarono con un trio d’archi tutto al femminile, con Luisa Avidano al violino, che suonava con me nei Però, Daniela Caschetto al violoncello, che avevo conosciuto tramite Enrico e Erika Pigazzi alla viola.
Mancava una voce femminile e ci pensò Eliana Parodi, compagna dell’allora batterista dei 2Life, Andrea Varvelli, la quale molto sportivamente prese un treno e ci raggiunse in studio senza tanti preamboli, offrendoci delle performance di alto livello.
Uno dei brani, Guitar Hero, era cantato da Mick Abrahams, il quale mandò delle registrazioni realizzate nel suo studio a Milton Keynes, che montammo sulla base realizzata da noi.
Durante il mix ci accorgemmo che in un brano la parte di tastiera non era funzionale e non sapevamo come risolvere la questione. Serviva un tastierista, era già sera tardi e per tanto doveva essere qualcuno che fosse in zona.
Al piano di sotto c’era Beppe Crovella degli Arti & Mestieri, proprietario dello studio e musicista super affermato, come potevo chiedergli: “Ehi Beppe, ti va di fare due accordi su un brano?”.
Così ci andammo cauti, lo chiamammo e gli spiegammo la situazione, mettendo le mani avanti che non avremmo mai detto a nessuno che fosse stato lui a suonare.
In realtà lui fu super disponibile, ascoltò il brano e disse di iniziare a registrare. Altro che un tappeto di accordi, sviluppò una serie di riff e un intro che caratterizzarono il brano in maniera determinante.
A quel punto gli chiesi se avessi potuto citarlo nel disco e lui accettò di buon grado e poi mi disse: “come si intitola il brano?”. Io risposi: “On a Winter Walk“.
“E’ un bel titolo per un album”, mi sorrise e se ne andò.
E così fu, il 14 luglio del 2007 usciva On a Winter Walk, il mio primo album da solista, presentato in anteprima durante un concerto dei Beggar’s Farm a Parma, dove fu eseguita anche Guitar Hero con Clive Bunker alla batteria e Mick Abrahams alla voce e chitarra.
Ora mi serviva una band per proporre i miei brani dal vivo e soprattutto delle date per tenerli insieme.
La band originale del disco era piuttosto impegnativa per muovere i primi passi nei locali della provincia e soprattutto non avevo nemmeno uno straccio di live per allettarli.

Female Band

Ospiti di Samigo TV
Alessia Giacobone, Daniela Caschetto, Alice Bruschi e me con in mano il cd di On a Winter Walk

Il mio amico, ex manager degli Interra Straniera, Igor Nogarotto della Samigo, mi aiutò con la promozione invitandomi in due trasmissioni televisive. Per rendere la mia esibizione più appetibile, mi presentai con una band di sole donne: Alice Bruschi alle tastiere, Alessia Giacobone e Sissi Buzzoni alla batteria e Daniela Caschetto al basso.
Daniela ed io eravamo diventati molti amici durante il periodo delle sessioni in studio e lei suonava anche il basso, oltre che il violoncello. Mi servivano un batterista e un tastierista fissi per cominciare e le altre ragazze delle esibizioni Tv non erano disponibili.
Chiesi così agli Area Protetta con Gianni Lavagno alla batteria e Gigi “il Bello” Guerrera alle tastiere.
Lavagno però, da buon batterista prog, pativa un po’ le quattro quartate del mio stile un po’ Dire Straits e così decidemmo di comune accordo di optare per un altro batterista.
Nel frattempo, avevo trovato una data in uno dei locali della zona dove mi disfavo ogni sera: il Muddy Blue.
Non ero lucidissimo in quel periodo e manco troppo simpatico e questo avrà un peso forte sulla mia carriera.
Arruolammo così un noto batterista della zona Massimo Grecchi e un’amica di Daniela, Simona Caligiuri, che si sarebbe occupata delle voci femminili ed essendo un’ottima flautista e clarinettista anche di alcuni arrangiamenti suggestivi sui brani più soft.

MCH Mark II

La Marcello Chiaraluce Band Mark II al Maltese
Gigi “il bello” Guerrera, Simona Caligiuri, io, Daniela Caschetto e Luca Careglio

Passarono mesi prima della seconda data al Maltese di Cassinasco e Grecchi dovette abbandonare il progetto per troppi impegni: al suo posto subentrò l’allora fidanzato di Simona, Luca Careglio.
Con questa formazione finalmente stabile riuscimmo a suonare abbastanza in giro inoltrandoci anche in Liguria, Lombardia e Emilia-Romagna.
Era tempo per un nuovo album, ma le mie condizioni psichiche non erano meravigliose. Avevo indossato un personaggio esagerato, volgare, eccessivo e spesso maleducato.
Suonavo praticamente sempre alticcio perché questo purtroppo non ha nessun effetto sulla mia performance musicale. Ma un giorno parlandone con Clive Bunker mi disse: “se pensi che questo non abbia effetto sulla tua performance, filmati”.
Immagino che per i miei compagni di viaggio fosse un inferno avere a che fare con me e il mio posto nei Beggar’s Farm che stavano crescendo di popolarità, mi rendeva ancora più borioso.
Non ci misi molto ad avere le canzoni per un nuovo album, ma feci l’errore di pensare di saper ormai gestire una band in studio e posi pochissima cura nelle prove e nel consolidamento del repertorio.
Claudio Cattero si ero messo in proprio e aveva aperto il nuovo studio, Manifatture Musicali, a San Didero in Val di Susa e noi lo raggiungemmo nel febbraio 2008.
Le session furono un disastro. I ragazzi non avevano i pezzi nelle mani, io non avevo le idee chiare, dormivo sul divano per la maggior parte del tempo e lavoravo in maniera disordinata.
Non convinto del risultato presi tempo prima della pubblicazione e proseguimmo con le date di uno spettacolo che invece aveva molto successo: una sorta di unplugged in cui usavamo il violoncello, i legni e Careglio disponeva un’infinità di percussioni e effetti sonori.
Era colorato, divertente e anche molto impegnativo negli arrangiamenti. L’influenza dei Jethro si faceva sentire e le mie idee erano sempre più progressive.
Arrivammo al 2009 in cui ero un insegnante a tempo pieno, coi Beggar’s giravamo mezza Italia e non si parlava più solo di Jethro Tull, ma collaboravamo con star internazionali di ogni tipo.
Ricordo che la mia popolarità stava crescendo sebbene io da dentro non me ne rendessi conto. La gente mi fermava al supermercato oppure mi riconosceva nei ristoranti e veniva a parlarmi.
Ovviamente una popolarità di provincia ma il mio nome aveva cominciato a circolare e come dice il mio amico Massimo Torchio: “In Alessandria tutti sanno chi sei”. Questa frase ha un’accezione sia positiva che negativa.
Nonostante questo, la mia carriera personale era in una fase di stallo a causa della mia costante insoddisfazione. Parlai dunque ai ragazzi e decidemmo di comune accordo di non proseguire insieme e il disco rimase lì, negli hard-disk dello studio.
Una sera a Voltaggio suonai insieme ai Beggar’s Farm in una rassegna organizzata da Beppe Gambetta e per l’occasione al posto di Sergio, c’era il batterista precedente Luca Grosso.
Con Luca si eravamo sempre considerati poco, ma quella sera ebbi un’illuminazione e gli dissi: “Ti va di suonare con me?”. Lui che ha il dono della perifrasi mista a quella dell’entusiasmo disse: “ok”.
Intanto giravo per locali con il mio amico Marco Toffano che stava rimettendo su una band e gli serviva un bassista. Una sera in un gruppo suonava un giovane bassista che si faceva notare e così lo avvicinammo.
Marco lo arruolò per la sua band, ma anche io avevo bisogno un bassista. Per non fare torti a nessuno, arruolai sia lui che Marco anche nella mia. Quel bassista era Daniele Piglione.
Mi servivano ancora un tastierista e una voce femminile e saremmo stati al completo.
Non ricordo assolutamente come ingaggiai Fulvio Cellerino, che a sua volta ingaggiò Serena Torti.
La prima prova, a cui andai con poco entusiasmo per via delle precedenti esperienze, fu una vera e propria rivelazione.
Quella band suonava da Dio.
Era tutto bilanciato, perfetto, armonioso, liquido, d’atmosfera e non dovevo dire nulla a nessuno.
Finalmente dovevo solo pensare a fare la mia parte.
Marco per impegni lavorativi però non potette proseguire e così chiamami un amico di vecchia data che in quel periodo avevo perso un po’ di vista: Luca Ogliaro.
Lui accettò di buon grado e cominciò così una delle migliori stagioni dei Marcello Chiaraluce Band.
La sezione ritmica era compatta e decisa, Fulvio era un fantasista e sapeva come riempire gli spazi, Luca era un’ottima spalla sia musicale che psicologica e Serena era la nostra punta di diamante.
Bionda, bellissima, voce incredibile e sul palco dava tutta sé stessa.
Fulvio non durò moltissimo con noi e fu sostituito da Kenny Valle, che all’epoca era di ruolo anche nei Beggar’s Farm.
In quel periodo stavo con una ragazza di nome Stefania Ferraresi, la quale aveva la capacità di sostenermi più di ogni altra prima di lei, in ogni mia iniziativa. Questa combo con lei condusse la band abbastanza in alto, ma allo stesso tempo, la presenza continua di una spalla con cui mi capivo al volo e con la quale condividevo la stessa linea di pensiero, mi precludeva dal dialogo e dall’autocritica.

Contro Festival

Nel camerino del Contro Festival
Daniele Piglione, Luca Grosso, Serena Torti, io, Kenny Valle, Luca Ogliaro

Grazie a Stefania, che si era proposta di fare da manager alla band, realizzammo uno dei nostri momenti più importanti, aprire per i Modena City Ramblers davanti a migliaia di persone. Questo evento merita due parole.
C’erano due band di apertura, noi eravamo i primi a suonare. Il manager dei Modena ci indicò l’area di palco su cui avremmo potuto montare gli strumenti e si raccomandò di non superare il tempo a disposizione.
Su queste cose sono piuttosto ligio al dovere e così montammo, mettendo a disposizione la batteria anche per il gruppo successivo, i quali venendo da lontano, si affidarono a noi.
Il loro batterista usava un tom e noi due e voleva a tutti i costi che facessimo dei cambi palco per fare la sostituzione dei fusti. La cosa stava facendo perdere tempo, con il tizio che continuava a ripetere la frase: “mi metti in pericolo, mi metti in pericolo” e il manager dei Modena che si stava spazientendo, fonici compresi.
Luca il nostro batterista tagliò corto e trovarono una soluzione per velocizzare il cambio.
Finito il soundcheck, poco dopo toccò a noi, la piazza era già strapiena.
Avevamo 5 canzoni in scaletta e ci affrettammo a farle senza tanti fronzoli per rispettare i tempi, ma dopo il terzo pezzo il fonico di palco ci disse che avevamo finito.
In pieno stile Chiaraluce, cominciai a cambiare il testo alla canzone inveendo contro il fonico che ci aveva detto di chiudere: la reazione del pubblico fu entusiastica. Si avvicinarono in massa al palco esultando e ricordo ancora la sensazione di quelle mani alzate durante il tapping a due mani del solo di Sweet Teacher.
Seguì un gesto meraviglioso. Il manager dei Modena alzò da terra il fonico e ci fece cenno di proseguire, così da poter finire il nostro set. Fu un signore.
Il gruppo dopo, in pericolo per un tom, iniziò con un brano in stile hendrixiano per poi lasciare la palla al cantante che aprì una lunghissima digressione sul fatto che la sorella della sua ragazza si fosse presentata a lui in mutandine… finita la storia, parte il quattro del batterista. Buio.
Gli staccarono la corrente.
Nonostante questo risultato, le etichette hanno sempre preferito i raccontatori di mutandine a me, che comunque di mutandine ne ho viste, ma non lo dicevo al microfono. Forse ho sbagliato approccio.
Seguì un’altra bella esperienza: il premio Pigro.
Il concorso dedicato al grande Ivan Graziani si teneva a Pescara nella tenuta Zaccagnini e quell’anno era stato esteso anche alla musica inglese, così tentammo.

Serena a Manifatture Musicali

Nello studio di Manifatture Musicali
Serena Torti, Claudio Cattero e me

Per l’occasione andai con Serena da Claudio a Manifatture Musicali e le feci reincidere un paio di brani sulle vecchie sessioni dimenticate del 2008. Il fatto riportò interesse su quel materiale abbandonato da anni.
Inviammo le demo e fummo presi. Era prevista una conferenza stampa a Roma lo stesso giorno in cui avevo un esame di storia al Conservatorio. Mio padre mi disse che se non fossi andato a quella conferenza avrei perso un’occasione e così feci il compito in metà tempo, consegnai e insieme a Stefania corsi a Roma in auto. Presi 30 e lode.
Ricordo che a gestire la conferenza, oltre alla moglie di Graziani, c’era un dirigente della Siae il quale mi chiese come mai scrivessi in inglese. Risposi che le mie frequentazioni con i Jethro Tull, i Deep Purple ecc, mi avevano influenzato e lui a quelle parole volle scambiare i contatti con noi.
Verrò infatti tempo dopo invitato insieme a Zibba alla Fiera della Musica di Genova, come ospite di una conferenza organizzata dalla Siae, in qualità di artista emergente di interesse.

Premio Pigro

Nella tenuta Zaccagnini per il Premio Pigro
Luca Grosso, io, Eliana Parodi, Kenny Valle, Luca Ogliaro

Tornando al Premio Pigro, la data era attaccata a quella di un concerto che avevamo organizzato nella nostra città, per tanto avremmo dovuto andare a Pescara, suonare e tornare in Alessandria notte tempo perché al mattino presto avremmo dovuto allestire palco e tutto.
Così facemmo. Eravamo in sei a viaggiare più gli strumenti. Siccome ero incasinato, delegai qualcuno di occuparsi del noleggio della macchina, ma probabilmente si spiegò male o non fu troppo accorto, tant’è che era sì una sei posti, ma berlina senza bagagliaio.
Andare con due auto sarebbe stata una spesa improponibile, così con una perizia che tetris ci spiccia casa, riuscimmo a limitare i bagagli e facemmo stare tutto in ogni anfratto dell’auto.
Là conoscemmo Ellade Bandini, Antonio Marangolo, Andrea Innesto, sembrava il paese dei balocchi. Suonammo Ora et Labora e poi Drifting into the Blues, il brano in inglese che avevamo presentato al concorso.
L’idea dell’inglese non piacque molto alla giuria, eravamo gli unici infatti e così non ci classificammo nemmeno. Nonostante questo, fummo raggiunti dal pianista Pape Gurioli, che si trovava in giuria, il quale era rimasto molto colpito dalla nostra performance e ci propose di produrre un singolo.
I rapporti con Gurioli, che poi naufragarono a causa della nostra impossibilità di gestire l’aspetto economico necessario, rimisero definitivamente in moto i lavori e l’interesse per il mio secondo album, il quale era rimasto lì in ibernazione da tempo.
Con poche sessioni in sala prove, alle quali si aggiunse anche Massimo Rumiano all’hammond, riarrangiammo completamente i brani migliori delle registrazioni originali, dando vita a Crime of the Rhyme!
Il disco c’era, era bello, ma che fatica ora stamparlo, costava tutto troppo e i ritorni davvero miseri.
Però le session a Manifatture Musicali furono spettacolari, con una band decisamente superlativa.
Passò del tempo, dunque, prima della pubblicazione e nel frattempo avevamo arruolato Mauro Mugiati, polistrumentista in grado di suonare sia la tastiera, sia la chitarra. Luca Ogliaro aveva dovuto abbandonare la band e così pensammo che con un polistrumentista avremmo potuto ampliare lo spettro della possibilità.
Oltre a Mauro si era aggiunto anche un cantante maschio Davide Spalla, per il repertorio più anni ’80 e in alcuni live c’erano anche i fratelli Cortona alle trombe.
La Marcello Chiaraluce band era così in grado di affrontare qualsiasi repertorio e io stavo diventando sempre più una comparsa per dare spazio a tutti gli altri. Lo facevo volentieri perché mi piaceva la musica che facevamo, come usciva, ma stavamo perdendo il focus e la personalità.

Xmax Tour

Nel camerino di un locale durante il Christmas Tour
io, Serena Torti, Davide Spalla, Luca Grosso, Daniele Piglione, Kenny Valle e in basso Mauro Mugiati

Ricordo però un bellissimo tour natalizio e anche lo spettacolo Guitarhero Story, dove proponevamo la storia della chitarra da Apache degli Shadow a Eddie Van Halen.
Questa fu anche la formazione del Guit-AL, il festival che ideammo per estendere idealmente il Premio Pittaluga, famosissima rassegna alessandrina dedicata alla chitarra classica, anche all’acustica e all’elettrica.
L’idea piacque molto al Comune di Alessandria che ci concesse la Cittadella per l’evento.
Invitammo chitarristi da ovunque, liutai, writer, fotografi, tutto ciò che avesse a che fare con la chitarra e io ingenuamente anticipai tutti i soldi dell’evento, tanto poi il Comune me li avrebbe ridati.
Fu un evento straordinario, pieno di pubblico entusiasta ma… c’è un ma: i soldi non li vidi mai e non mi fecero mai ripetere l’evento. Ricordo ancora le parole dell’Assessore alla Cultura di allora, quando mi ripresentai per una seconda edizione: “Chiaraluce, la gente muore di fame e lei mi chiede soldi per la musica?”.
Lì capii che ero io la causa dei problemi della fame del mondo e della carestia. Chiaraluce aveva sperperato nella musica le risorse necessarie a sfamare centinaia, ma che dico migliaia, ma che dico milioni di persone.
Ero io quello Scrooge oversize che non aveva cuore di nessuno tranne che per sé stesso.
Nel frattempo, i Beggar’s Farm avevano avuto qualche defezione e sia Daniele, il bassista, che Mauro, il polistrumentista, erano entrati a far parte della band.
In quel periodo la differenza tra i Beggar’s Farm e Marcello Chiaraluce band era davvero poca e spesso si intercambiavano: questo creò non pochi malintesi.
Il campo d’azione a causa della crisi si restringeva, cominciavamo ad essere concorrenti e i rapporti tra me e Taulino si deteriorarono.
Un altro ruolo fondamentale lo ebbe Giorgio Piazza, bassista fondatore della PFM. Incontrammo Giorgio tramite un amico comune, il mecenate Dante Tassi, e facemmo presto amicizia.
Giorgio non suonava da diversi anni e io non ero la persona più accomodante del mondo alle prove e volevo a tutti i costi manifestare la mia impazienza sul risultato finale.
Giorgio aveva, anzi ha, perché siamo amicissimi e ora andiamo d’amore a d’accordo, una visione della musica totalizzante. Lui avrebbe voluto provare tutti i giorni, vedersi tutti i giorni, avere un fonico a disposizione tutti i giorni ecc. Tutto giusto, ma improponibile se non si ha un calendario di 20 date al mese ben pagate.
Mi misi dunque a fare un po’ il sindacalista e questo mi si ritorse contro.
Non tutti sono pronti ad affrontare a viso aperto i problemi e lo capii a mie spese. Lasciai i Beggar’s Farm e ovviamente i musicisti della mia band, optarono per rimanere col posto sicuro nella tribute band e abbandonarono la Marcello Chiaraluce band.
Non la presi benissimo, ma a loro fregò poco niente, mi rimpiazzarono in una settimana e tanti saluti.
Eravamo rimasti io, Luca e Stefania. Ah no, Stefania mi lasciò poco dopo.
Serena che fine aveva fatto vi chiederete? Si era sposata e aveva fatto bene!

Mark IV

La Marcello Chiaraluce Band Mark IV a Macugnaga
Pia Perez Almeida, Eliana Parodi, Gigi Andreaone, Luca Groggo, Francesco Paolo Castaldo, Dott. Di Piazza, Luca Ogliaro, Max Carpa e me

Serviva una nuova band e così ingaggiai Gigi Andreone al basso e Max Capra alle tastiere e poi due coriste da paura Eliana Parodi, già voce solista in On a Winter Walk e Pia Perez Almeida, mia compagna al conservatorio.
Luca Ogliaro riprese il suo posto alla seconda chitarra.
Questa band, devo ammetterlo, fu la più elegante di tutte.
Con loro suonavamo Sting, Eric Clapton, Dire Straits in maniera divina, con dei suoni super bilanciati.
Il nostro highlight però fu Symphony for the Beatles!
Torniamo un attimo indietro: durante il periodo Beggar’s Farm feci amicizia con Francesco Paolo Castaldo, Prefetto di Alessandria prima e di Novara poi.
Castaldo è un profondo conoscitore della musica e della letteratura, nonché molto attento alla beneficenza e alla filantropia.
Nonostante non approvasse il mio allontanamento dai Beggar’s, mantenne con me buoni rapporti e cercò di aiutarmi a muovere i primi passi nella mia carriera solista coinvolgendomi in alcuni eventi benefici organizzati da lui.
Uno di questi fu una serata omaggio in stile rock sinfonico dedicata ai Beatles.
Non ricordo esattamente cosa diede vita al progetto, però all’inizio avremmo dovuto coinvolgere il M° Oddone, con cui avevamo già collaborato in altre occasioni, il quale si sarebbe dovuto occupare di tutti gli arrangiamenti e della direzione.
Il budget a disposizione però, non ci permetteva niente di tutto questo e così, visto che ormai eravamo in ballo dovetti ballare io.
Mi proposi di scrivere gli arrangiamenti per orchestra, anche se non l’avevo mai fatto prima: fu un bell’azzardo.
Per la direzione contattammo il M° Fiocchi Malaspina che si rese anche disponibile a formare gli elementi d’orchestra.
Ricordo quando mi presentai a Novara con i miei incartamenti davanti al Maestro, con le orecchie basse e pronto sentirmi dire: “Ma lei razza di incompetente per chi mi ha preso?”.
Invece fu molto cordiale, prese il materiale e non disse più nulla.
Temevo una telefonata da un giorno all’altro che mi dicesse: “guardi, a queste condizioni non posso lavorare”.
E quella telefonata arrivò, ma mi disse solamente che avevo aggiunto una battuta di troppo in Penny Lane, per il resto andava tutto benissimo. Fu un sollievo e anche un motivo di orgoglio.

Orchestra Beatles

Symphony for the Beatles
sul palco con la Mark IV: Antonio Costa Barbè (a sinistra), Francesco Paolo Castaldo a destra e Stefania Ferraresi a centro palco
sotto l’orchestra diretta dal M° Fiocchi

Oltre agli arrangiamenti da eseguire insieme alla nostra band, scrissi anche due fantasie introduttive solo per orchestra, sempre sviluppando temi dei Beatles.
Quel giorno arrivai nell’auditorium della Sala Borsa di Novara, con la sindrome dell’impostore. Da un momento all’altro mi aspettavo che un orchestrale mi gridasse: “ma questa roba chi l’ha scritta!”.
Quando si sedettero e partirono a provare le fantasie che avevo scritto, a me e a Stefania (sì, c’era ancora), venne da piangere.
Voi non potete capire quanto lavoro ci sia dietro un’orchestrazione, sono robe per musicisti veri, non per uno che suona la chitarra in provincia. Eppure, quella sera fu magica, anche grazie alla splendida voce dell’amico Roberto Tiranti che partecipò all’evento.
Ovviamente come tutte le cose fighe che faccio, nessuno me la fece mai più ripetere e così centinaia di ore, di prove, di arrangiamenti e di speranze finirono nel cesso.
Sono sempre stato forte negli inizi.
Questo coito interrotto condusse la band a fare ancora qualche live e poi ci sciogliemmo insieme al nostro entusiasmo.
Far girare quel baraccone era dura e nonostante il consenso del pubblico, gli apprezzamenti, ecc… non c’era verso di far spuntare la nave.
Era finita l’estate 2013 ed ero di nuovo punto a capo e il mio secondo album non era ancora uscito.
Se c’è una cosa fastidiosa è il non pubblicare subito la musica che hai scritto. Essa fa parte di quel periodo e se esce dopo non ti rappresenta più.
Dovrò aspettare infatti il 2014 per farlo uscire e a quel tempo niente di quello che era stato all’epoca c’era più. Ma quando fai tutto da solo e non sei figlio di Onassis, succede anche questo.
Aspetti quei maledetti soldi per poterlo stampare, poi ti mancano per promuoverlo ecc… la coperta è sempre corta e la maggior parte della gente non si appassiona a nulla e tu affronti la tempesta perfetta col cerino acceso, cercando di infiammare gli entusisami.
O sei un megafono continuo o ti passa tutto sopra come la carica degli gnu con Mufasa.

Mch Trio

Marcello Chiaraluce Trio a Manifatture Musicali
Io, Luca Ogliaro e Luca Grosso

Due persone erano comunque rimaste vicino a me: Luca Ogliaro e Luca Grosso.
Proponemmo al primo Luca di passare al basso e andammo in sala prove per vedere cosa succedeva.
Facevamo cagare. Ma reagimmo in maniera intelligente, decidendo di far funzionare la cosa.
Così invece di mettere su repertorio, lavorammo sul sound.
Suonare in trio dopo aver avuto la sinfonica necessitava un reset completo della mentalità.
Bisognava riempire i buchi, togliere per mettere, distribuire le frequenze, centellinare le casse e costruire assoli che non facessero sentire troppo la mancanza di una ritmica.
Il lavoro fatto in quei giorni, secondo me, fu uno delle lezioni più importanti che acquisii sulla musica.
Ci rendemmo conto presto però che molti brani di On a Winter Walk e di Crime of the Rhyme, non si potevano riproporre in trio e così per completare una scaletta ne scrivemmo di nuovi.
Questa volta il lavoro avvenne in sala prove: portavo il brano abbozzato e lo completavamo insieme, oppure jammavamo e poi finalizzavo il testo e la struttura in un secondo momento.

Falene

Le Falene di Chiaraluce
Silvia, Luca Grosso, Donatella, io, Laura, Angela e in basso Luca Ogliaro

Un ruolo fondamentale in quel periodo lo ebbero le falene di Chiaraluce, le avevo soprannominate così: erano un gruppo di signore che avevano formato una band e venivano a lezione da me.
Queste persone, al secolo Donatella, Laura, Angela, Silvia e Luciano (anche se non faceva parte delle Falene), mi adottarono e mi aiutarono ad affrontare quel periodo un po’ strano della mia vita.
Oltre a sostenere la band venendo ad ogni concerto, mi avevano insegnato un sacco di cose su me stesso, sulla gestione delle mie emozioni e su quello che avrei dovuto imparare per vivere meglio il presente.
Senza di loro, non sarei mai riuscito a riprendermi dal tonfo che avevo fatto.
Dopo i fasti dei Beggar’s e della big Chiaraluce Band, il Chiaraluce trio aveva ricominciato dai pub, dove suoni senza palco, con le tue casse e il tipo che ti mangia la coscia di pollo a un metro.
Ricordo ancora mia madre che venne a vederci in una delle prime date e alla sera mi aspettò a casa piangendo dicendomi: “come ti sei ridotto!”. A me fa ridere la scena, però effettivamente lei era abituata da tempo a vedermi su palchi belli, insieme a personaggi famosi, sui giornali e ora caricavamo un furgone in tre e si andava a suonare.
Ma le falene non ci abbandonavano mai e quando arrivavano nel locale svoltavamo la serata. Ci sentivamo più sicuri e davamo del nostro meglio.
Col trio, comunque, si spaccava di brutto e facemmo un botto di date.
Roberto Tiranti ci usò anche come band per alcune date del tour promozionale del suo primo album solista: “Sapere Aspettare”.
Eravamo ancora in pista e con una manciata di canzoni nuove da registrare.

Jean-Bi

Battista, Luca Grosso, io, Luca Ogliaro
a Casa Scaparone

Quell’estate mi contattò anche Battista Cornaglia, alias Battista Scaparone, proprietario dell’omonimo agriturismo di Alba, il quale stava cercando un produttore per il suo nuovo album di inediti.
Stava per cominciare uno dei periodi più divertenti della mia vita.
Battista era, purtroppo devo dire era, un personaggio incredibile: aveva vissuto diversi anni in Africa come direttore di un’azienda e poi era tornato nella sua Alba, aveva ristrutturato la tenuta Scaparone e aveva creato uno dei posti più belli che si potessero immaginare.
Isolato da tutto, al suo interno poteva succede qualsiasi magia: se Battista voleva, poteva.
Un giorno venne a prendere me e Luca Ogliaro, ci portò in un negozio di strumenti, comprò un Kawai nuovo di pacca, lo portò nella tavernetta musicale del suo locale, lo battezzò con un po’ di Arneis e poi disse: “voi componete, io dopo le dieci di sera vi raggiungo”.
Che situazione assurda: finivo di lavorare a scuola e partivo con Luca per passare il week-end a scrivere canzoni su quel Kawai, bere Arneis e guardare i tramonti su quelle vigne, in compagnia di Battista e di tutto il suo splendido staff.
Battista partecipava appena poteva alle session di scrittura, dava suggerimenti, ci metteva la sua personalità vocale incredibile. Stavano nascendo dei piccoli capolavori.
Nel frattempo, il trio diventava sempre più popolare e sebbene rimanessimo nella dimensione dei locali e delle piccole piazze, avevamo un bel giro ed eravamo soddisfatti.
Quell’anno mi ero anche innamorato di una delle ragazze più belle del mondo del rock, non posso dire di più, e viaggiavo su una nuvola scrivendo a profusione.
Ero tornato anche a suonare con gli Area Protetta, tributo alla PFM, i quali avevano una nuova formazione con un giovanissimo ragazzo alle tastiere. Ricordo che ero un po’ reticente ad avere uno che non conoscessi nella band e così dissi a Davide Parovina, il bassista: “ma siamo sicuri che sia all’altezza?”, mi rispose: “preoccupiamoci piuttosto di essere noi alla sua.”
Quel ragazzo diventerà uno dei miei più grandi fratelli musicali: Riccardo Campagno.
Purtroppo, Riccardo ed io non facciamo solo scintille sul palco, ma anche fuori, per tanto tra un progetto musicale e un altro, ci prendiamo lunghe pause di decompressione.

PFM

Giorgio “Fico” Piazza, Luca Grosso, Riccardo Campagno e me a Genova

In quel periodo riallacciai anche con Giorgio Piazza e facemmo uno dei quartetti musicali più performanti che io ricordi: io alla chitarra, Luca Grosso alla batteria, Riccardo alla tastiera e Giorgio appunto al basso.
Suonavamo la PFM con una voracità simile a quella che avevano negli anni ’70, una baionetta sonora esaltante che lasciava tutti a bocca aperta.
Era il 2014 dopo un’esibizione al fulmicotone ad un festival prog a Genova, partimmo alla volta della Jam Burrasca di Marotta, una manifestazione spettacolare e democratica, che era in grado di mescolare alla perfezione tra loro personaggi noti e meno noti della musica, per uno scopo più grande.
Battista, nonostante non si esibisse, si propose di portarci su e si presentò col suo fuoristrada alle 7.00 del mattino in Alessandria. Aprendo il bagagliaio c’erano 12 bottiglie di vino e disse: “ho fatto il rifornimento per il viaggio”.
Era incredibile come in uno stato psicofisico sempre piuttosto importante, riuscissimo a prendere gli strumenti e non sbagliare una nota sui vorticosi passaggi della Premiata. Sembrava fosse roba nostra da sempre, che fossimo nati per suonare quella roba lì, in quel modo lì.
Ricordo che Riccardo venne a fare il soundcheck in costume perché era sparito a fare il bagno e non lo vedevamo più, mentre io avevo minacciato di buttare in mare l’ampli al tizio che lo metteva in backline, perché non voleva che cambiassi le impostazioni. Che testa di cazzo che sono.
Passammo là tre giorni e dormimmo forse due ore, finendo a casa di gente conosciuta la sera stessa e tirando festa fino a tardi.
Giorgio, già settantenne, aveva l’energia di un ragazzino e dava ancora merda a tutti noi.
Riccardo si unì presto al Chiaraluce trio, che diventò un quartetto, riprendendo il sound originale della band. Ci stavamo di nuovo allargando e tornavamo a fare live più consistenti come quello con Aldo Tagliapietra de Le Orme al Teatro Coccia di Novara.
Era anche uscito quasi in sordina Crime of the Rhyme e per tanto cercavamo di promuoverlo durante questi eventi con un buon riscontro. Fu il mio album più venduto finora.
Il trio invece era impegnato in studio per l’album di Battista, ovviamente dal fido Claudio Cattero a Manifatture Musicali. Ricordo che a quelle session partecipò anche Massimo Rumiano e sfruttavamo i ritagli di tempo notturni per registrare il mio terzo disco.
Prese così vita When the Dollhouse Burns, un album registrato in pochissime session e lasciato volutamente scarno e diretto. Il disco di Battista invece non venne mai alla luce perché lo colse una brutta malattia che ebbe la meglio su di lui. Quelle registrazioni sono lì nelle mie memorie digitali e chissà se un giorno io e la sua famiglia ci decideremo a renderle note. Gli anni passano ad una velocità incredibile e sembra che tutto sfugga come sabbia tra le dita.
Grazie all’interessamento di Fabio Segati, avevamo anche ripreso il Guit-AL Festival per una seconda edizione al Teatro Sociale di Valenza, in presenza di Tolo Marton, Paolo Bonfanti, Christian Saggese e Giorgio Piazza.
Rispetto all’idea originale avevamo ripiegato su un classico evento in pieno stile Beggar’s Farm, ovvero la band che accompagna ospiti famosi e questo fu il mio errore: non staccarmi mai da quel cordone ombelicale.
Quel mestiere però, io l’avevo imparato tutto da Franco Taulino, che fu il mio mentore in tutto e per tutto e ogni volta che rialzavo il tiro, sapevo solo cercare di inseguire quel tipo di modello.

Mch Mark V

La Marcello Chiaraluce Band Mark V in sala prove
Riccardo Campagno, Giovanni Giordano, Luca Ogliaro e Luca Grosso e davanti Barbara Fumia e me

Infatti, non mancò molto che la Marcello Chiaraluce band ebbe una nuova formazione completa: io, Luca Ogliaro al basso, Luca Grosso alla batteria, Riccardo Campagno alla tastiera, Barbara Fumia alla voce femminile e il giovanissimo Giovanni Giordano alla seconda chitarra. Giovanni iniziò a suonare con me che era ancora minorenne e mostrava già le caratteristiche di un professionista. Il nostro sodalizio dura ancora oggi e il rapporto insegnante-allievo, si è evoluto in un vero e proprio contributo reciproco a livello umano, artistico e lavorativo.
Con questa formazione feci anche la terza e quarta edizione del Guit-AL prima di prendermi una lunga pausa dalla musica.
Ero arrivato a tappo. Cercavo di rifare i Beggar’s Farm, invidiando i Beggar’s Farm e non riuscendo a fare i Beggar’s Farm, chiusi baracca e burattini e lasciai l’ennesimo disco, When the dollhouse burns, in balia del suo destino.
Queste uscite in differita, dovute alla continua mancanza di risorse economiche per la promozione, generavano un’incredibile frustrazione. Speravo nella fortuna, senza crearmela e senza puntare veramente sul mio repertorio che rimaneva sempre il contorno delle cover famose che proponevo e che costituivano la mia zona di comfort.
Unica nota positiva del periodo, fu l’invito della Famiglia Pittaluga ad esebirmi in uno dei corner musicali legati alla quarantanovesima edizione del Premio Pittaluga.
Fui il primo e per ora l’unico, chitarrista elettrico ad essere considerato per gli eventi musicali organizzati intorno al prestigioso premio internazionale nei giorni della gara.
Suonammo un repertorio strumentale che scrissi appositamente per l’occasione, con un’ottima partecipazione di pubblico. Fu una bella esperienza che porto nel cuore.
Nel 2016, l’apertura della mia scuola di musica e teatro Belli da Morire, mi impegnava fin troppo e tranne per qualche sporadico tentativo di organizzare serate cover o tributo, mi ero completamente concentrato sui miei allievi.
La Marcello Chiaraluce band tornò solo in rare occasioni, come i concerti di Annalisa Ghiazza, una talentuosa allieva a cui produssi il primo singolo. Al posto di Luca Ogliaro, il quale per lavoro aveva dovuto prendersi una pausa, fu ingaggiato al basso un altro promettente allievo della scuola: Giuseppe Nisticò.
Era la fine del 2018 e ormai di suonare live brani miei non ne volevo sapere. Non ci credevo più.
Anche il progetto Diaspro, un concept album prog in italiano che avevo scritto in quel periodo, con Tiziano Spigno alla voce, Luca Grosso allla batteria, Riccardo Campagno alle tastiere, Giovanni Giordano alla chitarra, Giuseppe Nisticò al basso e me, non superò l’entusiasmo iniziale.
Per non smettere i live completamente formai gli Expresso Love, un tributo ai Dire Straits con cui facemmo anche dei buoni concerti.
La mia creatività preferii dirigerla nella produzioni: Annalisa Ghiazza, Wilson Project, The Pool, Water Particles e nella scrittura dei musical: Scooge: l’ultimo canto di Natale, Luigi, Inferno, Ulisse: viaggio solo, Discordia ecc.
Una delle critiche maggiori che veniva fatta alla mia musica, era la performance vocale, troppo debole rispetto alla proposta sonora e anche la pronuncia inglese non era proprio eccellente.
Dopo il primo disco, avevo cercato di migliorare l’aspetto della lingua facendomi aiutare sia nella scrittura dei testi, sia nella pronuncia, da Lello Calorio, un fan dei Jethro Tull residente a Londra, con il quale instaurai anche un lungo rapporto di amicizia e collaborazione per diversi progetti.
Lello era molto scrupoloso e preparato, ma nonostante i miglioramenti linguistici, la tecnica vocale rimaneva insufficiente.
Ammetto che andai anche a lezione dalla mitica Danila Satragno, che mi accolse con entusiasmo e molta propositività. Le sue lezioni erano spettacolari dal punto di vista sia tecnico che umano.
Ma essendo un autodidatta per natura, sono un pessimo allievo e nonostante i suoi sforzi, mancava il lavoro a casa.
L’unico a riuscire a farmi finire un percorso didattico fu il M° Giuseppe Russo, meglio noto come Pino, il quale riuscì con personalità e metodo a farmi laureare presso il Conservatorio di Alessandria.
Ora il mio maestro non c’è più, ma solo a vedere la sua foto nei manuali che mi fece studiare, redatti da egli stesso, mi sento in dovere di mettermi sotto a fare esercizio. A lui devo un evidente salto di maturità nel mio mestiere.
Arriva il 2020 e nuove parole insieme a lui: covid, lockdown, tampone, DPCM, greenpass ecc.
Questo periodo, legato anche a varie faccende personali, mi spinge nuovamente a scrivere musica ma questa volta in italiano.
Il fantasma della pronuncia volevo lasciarmelo alle spalle e soprattutto non volevo essere vincolato dai miei limiti con la lingua inglese.
Luca Ogliaro era tornato dall’estero dove lavorava e decidemmo di rimettere in piedi il trio, ma Luca Grosso non era dello stesso avviso. Il motivo principale fu che Ogliaro ed io volevamo limitarci alle cover, mentre Grosso non voleva buttare via tutto il repertorio originale che avevamo.
Non trovando un valido compromesso, mettemmo un annuncio musicale al quale rispose il giovanissimo batterista: Francesco Vittone.
Alle prove mi conquistò subito con un Blush-da suonato alla perfezione per lanciare un mio solo.
Nacquero così il Boulder Dash, nome preso da un noto gioco del Commodore 64, un trio cover rock-blues che però durò un solo concerto.
L’amicizia con Vittone però mi portò a rivalutare la solita possibilità di rimettere insieme un mega progetto con i soliti noti. Così insieme a Riccardo, Giovanni, Giuseppe, Pia, Dalila Fazio e Aldo Ascolese tentammo l’impresa faraonica di riarrangiare La Buona Novella di De Andrè.
L’impresa riuscì ma i continui problemi con il greenpass e le varie correnti di pensiero, ci fecero desistere.
È già difficile quando i problemi sono solo musicali, figuriamoci quando si aggiungono anche dinamiche diverse, esterne e non gestibili nell’immediato.
Inizia così il 2022 con un nulla di fatto, tranne che avevo realizzato da solo il mio nuovo disco solista.
Durante questa fase solitaria di lockdown, la scuola chiusa e riaperta a singhiozzo, avevo avuto tutto il tempo di mettermi in studio e registrare un intero album, mixarlo e finalizzarlo.
Il fatto di avere uno studio mio a disposizione, mi permetteva di abbattere i costi di produzione e la possibilità di poter suonare tutto io, o quasi, senza adeguarmi ai tempi degli altri, non minava il mio entusiasmo.

Chiaraluce Band

La Chiaraluce Band all’Isola Ritrovata
Giovanni Giordano, io, GIuseppe Nisticò e Francesco Vittone

Decisi così di puntare tutto su questo progetto, tagliando tutto il resto, anche perché il primo singolo “Fragolina”, uscito il 21 dicembre 2021, era andato abbastanza bene, destando un po’ di curiosità vista la differenza rispetto ai lavori precedenti.
Mi ricordai di un discorso che mi fece Gianni Leone del Balletto di Bronzo anni prima: tra l’altro, per me, uno dei più grandi performer mai visti sul palco.
Lui sosteneva che se cambi genere, devi anche cambiare nome al progetto, altrimenti inganni il tuo pubblico.
Così decisi di seguire il consiglio e diventare solo: Chiaraluce.
Forse avrei potuto essere più fantasioso, ma era un inizio.
Ad aprile 2022 insieme a Giovanni Giordano, Giuseppe Nisticò e Francesco Vittone, suonammo i brani del mio nuovo album Dente, dal vivo, in anteprima, all’Isola Ritrovata di Alessandria.
Fu un successo.
Con questa formazione proseguii anche durante l’estate con ottimi riscontri, rimettendo così in pista la mia voglia di scrivere, pubblicare ed eseguire dal vivo la mia musica.
Il 16 Novembre 2022 è uscito ufficialmente il mio nuovo album Dente.
Ora inizia il 2023 ed è una nuova pagina da scrivere, dove Chiaraluce, Marcello Chiaraluce o semplicemente Marcello, non hanno ancora perso la voglia.

Marcello Chiaraluce

P.s.: molte persone sono rimaste fuori da questa storia, ma hanno contribuito in maniera importante a ispirare il mio cammino. In qualche modo lo fanno tutte le persone che incroci: quelle a cui vorresti assomigliare e quelle da cui vorresti prendere le distanze. A loro modo ti indicano una strada, la tua strada. Dunque grazie a ognuno di voi.

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